Cenni Storici
Sulla collina detta la Civita di Atripalda, posta tra il fiume Sabato e il torrente Rigatore, fu dedotta in età graccana, la colonia romana di Abellinum, laddove sorgeva l’oppidum irpino degli Abellinates, di cui è stata ritrovata la cinta muraria databile intorno alla metà del III a.C. In età augustea, la colonia verrà risistemata, con l’assegnazione ai veterani di nuove terre, un significativo rinnovamento urbanistico, con nuove mura, con la costruzione di un anfiteatro, con le terme e gli acquedotti. Con il periodo giulio-claudio, la città subirà una leggera caduta, come testimoniano le documentazioni archeologiche, per poi riprendersi fra il tardo II secolo ed età severiana, quando la colonia poté fregiarsi del titolo onorifico di Alexandriana. Con la riorganizzazione diocleziana dell’impero, la città rimarrà inclusa nella Campania come una delle provincie della diocesi italiciana, la suburbicaria (Italia meridionale) e resterà tale sino all’invasione longobarda.
Nella seconda metà del IV secolo d.C. iniziarono a manifestarsi evidenti segni di degrado e di progressivo abbandono dei complessi monumentali e delle opere pubbliche, le terme forensi furono adibite a modeste abitazioni e le sepolture di bambini ritrovate sempre presso le stesse. Questo testimonia una radicale trasformazione della città e dei modi di occupazione del territorio, dovuta anche alla diffusione del Cristianesimo e, insieme, alla strutturazione ecclesiastica della comunità attestata dalle numerose iscrizioni cristiane trovate in loco. A partire dal VII secolo, Abellinum si va gradualmente riducendo e la popolazione altresì si va allontanando dalla stessa valle del Sabato, a favore di nuovi territori più sicuri sulla sommità delle colline. L’arrivo dei longobardi e la conquista dei territori dell’entroterra segnerà una nuova vita per la vecchia Abellinum; Troppualdo, un principe longobardo riuscirà ad ottenere dalla vicina Avellino il riconoscimento di autonomia amministrativa per la popolazione sparsa nella zona.
E’ l’atto di nascita della nuova città di Atripalda, che prenderà il nome del principe. In età sveva la città si trovava sotto il controllo della famiglia Capece; le fonti testimoniano ciò e raccontano del più antico gesto di galanteria in Italia. Il giovane re Manfredi, nel 1254 braccato dalle truppe papaline, abbandonò Napoli diretto verso il principato di Taranto. I signori Capece, non temendo le rappresaglie del papato, aprirono i portoni del castello al re fuggiasco.
“Il buon re Manfredi, educato alla gentilezza, all’amore ed alla poesia, volendo retribuire di qualche insolito onore l’ospitale accoglienza ricevuta dai fratelli Capece, fattesi venire avanti le due loro giovani spose che erano di rarissima bellezza, volle che ai suoi fianchi sedessero e seco lui familiarmente desinassero”. Il 13 settembre 1512, Atripalda fu ceduta per 25.000 ducati a don Alfonso Castriota, primo marchese di Atripalda dal 1513, discendente di Giorgio Castriota Scanderbeg, famoso eroe albanese nella guerra contro i turchi. Nel 1559, il “feudo Tripalda” passò nelle mani del nobile finanziere genovese Giacomo Pallavicini Basadonna che l’acquistò per 60.200 ducati. Nel 1564, con rogito del notaio Bernardino Brusatori di Fermo, il Basadonna permutò il “feudo di Tripalda” con i feudi posseduti dal nobile casato di Domizio Caracciolo nel ducato di Milano, a Gallarate.
La cittadina irpina con i Caracciolo visse un periodo di grande splendore, dal 1564 fino al 1806, epoca in cui venne abolita la feudalità. Nel ducato di Atripalda dopo Domizio, I duca di Atripalda, della prestigiosa famiglia Caracciolo si susseguirono Marino I (1535-1591), cavaliere distintosi a Lepanto, Camillo (1563-1617), Marino II (1587-1630), Francesco Marino I (1631-1674), Marino III (1668-1720), Francesco Marino II (1688-1727), Marino Francesco I (1714-1781), Giovanni (1741-1800) e Marino Francesco II (1783-1844). I Caracciolo, incentivarono le attività commerciale e culturali.
Le filande, l’industria del ferro, la lavorazione del rame, della carta e della lana concorsero ad assicurare agli Atripaldesi un elevato tenore di vita – superiore a quello del vicino Capoluogo – tanto che in quel periodo non furono censiti “cittadini poveri” tra la popolazione.
Notevole impulso venne assicurato al mondo della cultura che conobbe, grazie al mecenatismo dei Caracciolo, l’Accademia degli Incerti. Con l’Unità d’Italia, la città inizierà a cambiare volto, si svilupperà Largo Mercato (chiamata poi piazza Umberto I in onore del re assassinato), che dal 1900 sino ad oggi sarà il fulcro economico e sociale della vita cittadina.